Nel 2023, l’industria del nucleare ha confermato il suo ruolo di più importante tecnologia di generazione elettrica in Europa. Sciolti da qualsivoglia dibattito riguardante il Green Deal europeo e quale parte gioca il settore nucleare, occorre farci una fondamentale domanda: ma noi, in Europa, lo sappiamo ancora fare il nucleare?
Oggetto di dibattito pubblico in tutti i paesi dell’UE, la causa della rinascita del nucleare è stata sposata da partiti di diversi orizzonti politici; tutti coloro che, per motivi diversi, hanno descritto le energie rinnovabili, le batterie al litio e più in generale le tecnologie simbolo del Green Deal come un vettore di servilismo industriale nei confronti della Cina, non hanno esitato a presentare il nucleare come una soluzione razionale, sicura, indipendente ed europea per completare la transizione energetica del sistema elettrico.
Indipendenza energetica e industriale
Il tema dell’indipendenza intrinseca del nucleare è uno dei più ricorrenti nel dibattito pubblico sulla tecnologia, a dimostrazione del fatto che, indipendentemente dalle conclusioni che se ne possano trarre, la coscienza dell’immenso ritardo tecnologico e industriale accumulato nel mondo occidentale sulle tecnologie della transizione energetica è oggi presente nell’immaginario collettivo.
Inoltre, il nucleare seduce, appunto, per il potenziale rilancio industriale che potrebbe rappresentare. Una rinascita della filiera, nell’immaginario europeo, significherebbe innovazione tecnologica, creazione di posti di lavoro, crescita economica, rilocalizzazione delle catene del valore, investimento pubblico, decarbonizzazione: tutto ciò che deindustrializzazione e delocalizzazione hanno tolto al Vecchio Continente, sornione negli anni sereni dell’ingenuità geopolitica e industriale.
Questa visione non è però esente da criticità: la filiera dell’energia nucleare, come tutte le filiere industriali, non potrà essere messa in piedi dal giorno alla notte, tipicamente se la volontà strategica dei nostri governi dovesse essere quella di poter gestire in autonomia la totalità della catena del valore.
L’Europa continentale, che ha completato la costruzione delle sue prime centrali a utilizzo civile a Marcoule e Latina fra il ’58 e il ‘63 e ha appena finalizzato l’installazione del suo ultimo reattore nel 2024 a Flammanville, in Francia, dovrebbe in teoria poter far valere 70 anni di esperienza tecnologica ed industriale, ed essere pronta a raccogliere le sfide del nucleare del futuro.
La filiera industriale europea
Purtroppo, però, la verità è più complessa di quanto sembra; in Europa esiste un solo paese che possiede ancora una filiera industriale completamente integrata nel settore del nucleare civile, capace di fabbricare in maniera totalmente autonoma e sul suo territorio i reattori e di commercializzarli all’estero, ma anche di gestire la catena del valore del combustibile e di operare le centrali sul lungo termine: la Francia.
Nel paese transalpino, la filiera nucleare gira intorno a EDF, impresa posseduta al 100% dallo stato, che gestisce le centrali nucleari esistenti, sviluppa nuovi progetti, e possiede il quasi monopolio su tutta la produzione elettrica nazionale. EDF detiene, tra gli altri, Framatome, l’azienda che fisicamente costruisce i reattori dove avviene la reazione di fissione, e l’ex GE Steam Power, recentemente riacquisita, che produce le famose Turbines Arabelle, le turbine a vapore installate nelle centrali nucleari. Un’ultima caratteristica contraddistingue però EDF: il suo catastrofico debito di quasi 60 miliardi di euro, che potrebbe a lungo termine rappresentare una barriera all’investimento.
Gli ultimi non sono stati anni facili per il nucleare francese, per almeno tre motivi. Primo, il settore ha toccato il minimo storico di produzione elettrica nel 2022 durante la crisi energetica, obbligando il paese a importare elettricità dalla Germania, a causa dei ritardi significativi del grande programma di manutenzione battezzato Grand Carénage; secondo, per 17 lunghi anni EDF è rimasta impantanata nella costruzione del suo reattore di ultima generazione, l’EPR, finalmente installato ad inizio 2024 nella centrale di Flammanville, spendendo (secondo la Corte dei Conti) quasi 20 miliardi di euro a fronte dei 3,3 preventivati; terzo, dopo il cantiere durato 15 anni dell’EPR di Okilouoto installato in Finlandia e i continui ritardi in quello di Hinkley Point C nel Regno Unito, EDF ha perso in competitività all’export; l’impresa ha infatti recentemente perso l’appalto in Repubblica Ceca per il reattore di Dukovany a favore della coreana KHNP, e questo nonostante il grande successo dei due reattori EPR che aveva venduto e installato in Cina nella centrale di Taishan nel biennio 2018-2019.
EDF è cosciente di questi problemi: per questa ragione ha lanciato un nuovo modello di reattore, l’EPR 2, fortemente semplificato ma capace di rispettare gli stessi standard di sicurezza e potenza (i reattori EPR sono i più potenti mai costruiti dall’uomo, raggiungendo 1650 MW di potenza elettrica netta), e che sarà la pietra d’angolo del rinnovamento del parco nucleare francese.
Purtroppo però, nessun cantiere di reattori EPR 2 è ancora stato fisicamente lanciato, mentre i paesi europei desiderosi di reinvestire nel nucleare stanno compiendo oggi le scelte strategiche fondamentali per la loro transizione energetica. Ad oggi, la domanda quindi è: a chi si stanno affidando i partner europei?
Lo spettro della concorrenza internazionale
Per comprendere che direzione stanno prendendo oggi i paesi europei che hanno presentato piani concreti per lo sviluppo dell’energia nucleare, è importante esaminare tutti quei reattori per i quali una pianificazione industriale completa è stata effettivamente già fissata.
Ad oggi, esistono piani completi di costruzione di 12 reattori nucleari in Europa, escludendo la Francia, che sarà ovviamente rifornita dal campione nazionale Framatome.
I reattori di Kozloduy 7 & 8 in Bulgaria, esattamente come i tre reattori di Lubiatowo-Kopalino in Polonia, saranno con ogni probabilità forniti dall’americana Westinghouse Electric Company, ideatrice del reattore di Generazione III+ AP1000, che è ad oggi il concorrente naturale dell’EPR (e con ogni probabilità dell’EPR 2) francese. La Repubblica Ceca ha assegnato l’appalto per la costruzione di un reattore alla coreana KHNP, anche se EDF e Westinghouse hanno annunciato un ricorso.
In altre situazioni, certe condizioni particolari hanno ristretto la cerchia dei possibili fornitori di reattori. In Romania, i due nuovi reattori Cernavoda 3 & 4 saranno reattori Candu forniti dalla canadese Candu Energy; in questo caso, si tratta di una chiarissima path dependency: reattori Candu sono anche Cernavoda 1 & 2, dunque la Romania ha fatto la comprensibile scelta di affidarsi alla tecnologia che meglio conosce. L’Ungheria ha già finalizzato accordi per due reattori VVER, di tecnologia americana (reattori ad acqua pressurizzata) ma di design russo e dunque forniti da Rosatom, che è anche incaricata di installare il reattore Mochovce 4 in Slovacchia; infine, la Svezia non ha ancora chiarito a che fornitore si affiderà.
Ormai fuori dall’Unione, il Regno Unito attenderà che sia finalizzata l’installazione dell’EPR di Hinkley Point C, e probabilmente riceverà due EPR 2 per Sizewell C, già assegnato ad EDF.
Considerando Rosatom un attore centrale dell’export dei reattori ma che sempre meno potrà accedere ai mercati europei, sembra chiaro che il rilancio del nucleare europeo sia affidato, laddove un’effettiva concorrenza fra diversi fornitori è ancora possibile, all’AP1000 di Westinghouse, in chiaro vantaggio nel terreno di caccia naturale di EDF.
Non è detto ovviamente che altri stati membri dell’Unione non scelgano di rivolgersi ad EDF in futuro, se dovessero rilanciare i loro programmi nucleari: si pensi alla Finlandia, che possiede oggi l’unico EPR europeo in funzione, o al Belgio, le cui centrali di Electrabel (posseduto dalla francese Engie) hanno montato storicamente reattori americani ma anche francesi; resta il fatto però che il mercato europeo è rimasto segnato dai catastrofici cantieri di Flammanville III e di Hinkley Point C, e che Westinghouse, i cui due reattori AP1000 in funzione nella centrale di Vogtle sono stati comunque installati con immensi ritardi e spese faraoniche, è riuscita a ritagliarsi una quota di mercato non indifferente.
Westinghouse non è Rosatom, ovviamente. Eppure rimane che il rilancio del nucleare in Europa potrebbe significare, ad oggi, arrendersi ad una nuova dipendenza tecnologica, in questo caso incarnata da un’azienda privata americana, che ha sì concesso licenze ad attori locali, tipicamente l’italiana Ansaldo Nucleare, ma che resterà l’unico fornitore possibile del reattore AP1000.
E tuttavia, noi, in Europa, il nucleare lo sapevamo fare. Ed ora?
Un ritardo tecnologico europeo?
Esiste senza alcun dubbio in Europa una filiera industriale competitiva e capace di raccogliere la sfida del rilancio del nucleare; il problema, semmai, è legato a due fattori: primo, esiste un unico attore capace di fornire in totale autonomia i reattori, cioè Framatome, che si porta sulle spalle, come già detto in quest’articolo, tutte le criticità dei cantieri EPR et che non ha ancora cominciato a installare nessun EPR 2; secondo, il solo esempio recente di collaborazione europea nel settore dell’energia nucleare è proprio l’EPR, progetto in origine franco-tedesca, poi abbandonato dagli industriali teutonici per le note scelte delle coalizioni di governo formate al Bundestag, e che ha perso molte delle vestigia della partecipazione tedesca con il nuovo design EPR 2. Non è nato – e non nascerà – un secondo Airbus nel settore dell’energia.
Le prospettive di costruire dunque un’industria integrata della fissione nucleare europea pare estremamente lontana, e le speranze di conservare un’autonomia tecnologica sono essenzialmente riposte nelle mani della filiera francese.
Dal punto di vista tecnologico, il paragone fra EPR e AP1000 è un passatempo ingegneristico, e non esiste alcun vero motivo per preferire categoricamente l’uno all’altro su basi tecniche.
Il sorpasso dell’industria nucleare europea risiede quindi del superamento delle criticità tradizionali dell’atomo: costi d’investimento iniziale e costo del capitale estremamente importanti (e quindi, nel pratico, come in Francia, necessità assoluta di finanziare totalmente con denaro pubblico i reattori, pena l’aumento vertiginoso delle spese), difficoltà a stimare le spese totali in anticipo, perdita storica di competenze dell’industria europea che hanno ridotto la capacità di generare economie di scala e progetti modulari facilmente riproducibili ; infine, i sistematici ritardi nei cantieri di costruzione.
Questo ci permette, in un certo modo, di tirare un sospiro di sollievo: non c’è ad oggi nessun ritardo tecnologico da recuperare. E però fondamentale che l’Europa estenda al nucleare le stesse ambizioni di autonomia industriale che ha aggiunto al Green Deal col Net Zero Industry Act; poco importa il posto che il Vecchio Continente sceglierà di affidare al nucleare nella sua transizione energetica: qualunque esso sia, la questione strategica fondamentale risiederà nella capacità di produrre autonomamente i reattori. Gli Stati Uniti e la Cina ne sono già capaci; la Russia possiede Rosatom, un vero campione dell’export tecnologico.
Come tutti gli aspetti della transizione energetica, il nucleare deve essere trattato in maniera seria, e merita che le leadership dei paesi europei facciano scelte tecnologiche ponderate, coscienti e coraggiose. Se si dovessero sciogliere le riserve con la decisione di includere a pieno titolo il nucleare nella strategia europea di transizione energetica, la produzione autonoma di reattori deve essere una delle colonne portanti dell’auspicata rinascita industriale del nostro continente.
Chiunque si nasconda dietro la bandiera del “nucleare sì” senza però assumersi la responsabilità di proporre piani di finanziamento seri e senza interrogarsi su chi sarà il nostro fornitore tecnologico dà il suo contributo alla decadenza industriale del Vecchio Continente. E ciò sarebbe, nel mondo in cui viviamo, l’ennesima catastrofica ingenuità.
Prospettive future
Il primo terreno di test dei nuovi reattori EPR 2 sarà la Francia e la centrale di Sizewell, nel Regno Unito. Il futuro dirà se EDF e Framatome saranno capaci di apprendere dagli errori del passato e di aprire cantieri industriali con programmazioni attendibili e efficienti. Ciò che è certo, è che tutta l’Europa, o almeno gli europei desiderosi di affidare al nucleare una parte sempre più importante della decarbonizzazione del sistema elettrico, dovranno osservare attentamente l’avanzamento dei piani francesi.
Di nuovo, Westinghouse non è Rosatom, e gli Stati Uniti non sono la Cina. Tuttavia, l’indipendenza energetica non guarda ai confini e fa distinzioni piuttosto limitate fra alleati e concorrenti (come non ricordare lo stop imposto da Biden alla costruzione di nuovi terminal di liquefazione di gas naturale negli Stati Uniti?).
Le nazioni europee si sono poste il problema dell’indipendenza e del rilancio delle filiere industriali. Il nucleare non deve fare eccezione. Tipicamente perché, in alcuni settori, come la produzione le batterie al litio o di pannelli fotovoltaici, la corsa è in massima parte già perduta.
Non nel nucleare. Perché noi, in Europa, nonostante tutto, lo sappiamo ancora fare.
Ivan Reali è Regulatory Affairs Project Manager – Power and Gas Markets, Eni Gas & Power France – Plenitude
La rubrica Geopolitica dell’Energia è realizzata con il supporto di Assofond
Le europee riporteranno il nucleare in Germania?
di Francesco Sassi, 6 giugno 2024
La leadership nucleare della Russia di Marco Siddi, 18 Dicembre 2023
Foto: Wikimedia Commons
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