Il rapporto sulla competitività dell’Unione Europea redatto da Mario Draghi mostra numerosi limiti ed errori per quanto riguarda l’energia. Pone eccessiva attenzione alle rinnovabili, che sono concausa del calo di competitività, e trascura fonti cruciali come nucleare, petrolio e gas, così come le implicazioni di geopolitica.
Il tanto atteso rapporto Draghi affronta numerose questioni che attualmente ostacolano la competitività europea, tra le quali la politica energetica dell’ultimo decennio. Purtroppo, questo documento destinato a guidare il futuro economico dell’UE ne sostiene principalmente la continuazione, auspicando un aumento dei finanziamenti pubblici. Se queste raccomandazioni verranno adottate, rischieranno di indebolire ulteriormente la vitalità economica e la sicurezza energetica dell’UE, con un impatto minimo sulle emissioni globali.
Il ritardo e il dibattito mancato
Il ritardo nella pubblicazione del Rapporto a dopo le elezioni europee ha sollevato preoccupazioni sulla trasparenza democratica. I cittadini europei avrebbero dovuto conoscere queste informazioni prima di esprimere il proprio voto. Questo rinvio (intenzionale?) ha privato il discorso pubblico di un esame cruciale delle nostre future politiche energetiche e industriali. Se il rapporto fosse stato pubblicato in tempo, avrebbe probabilmente influenzato l’esito delle elezioni, data la sua critica alla preoccupante situazione creata dalle istituzioni europee.
È infatti molto probabile che il rapporto venga sfruttato da Ursula von der Leyen per ampliare la portata del Green Deal e giustificare l’obbiettivo di riduzione delle emissioni di CO₂ del 90% nel 2040. Questo, sebbene il rapporto sembri sminuirne l’importanza. Il Green Deal è citato solo una volta e in un contesto negativo.
“«Il Green Deal europeo» si basava sulla creazione di nuovi posti di lavoro verdi; quindi, la sua sostenibilità politica potrebbe essere messa in pericolo se la decarbonizzazione portasse invece alla deindustrializzazione in Europa – comprese le industrie che possono sostenere la transizione verde”.
Fatti allarmanti e soluzioni inadeguate
Il rapporto sottolinea correttamente che “le imprese dell’UE devono ancora far fronte a prezzi dell’elettricità da due a tre volte superiori a quelli degli Stati Uniti e a prezzi del gas naturale da quattro a cinque volte superiori”. Tuttavia, invece di trarre le dovute conclusioni dalle carenze della politica energetica europea, rimane fermo nella sua ricerca di una transizione verde forzata.
Questa disparità nei prezzi dell’energia è tutt’altro che insignificante. È la conseguenza diretta delle decisioni europee in materia di politica energetica e climatica. Mentre gli Stati Uniti hanno colto la rivoluzione dello shale gas, riducendo significativamente i loro costi energetici, l’UE si è confinata in un quadro concettuale – che persino Draghi critica – che ha soppresso qualsiasi potenziale di sfruttamento delle proprie risorse di idrocarburi.
Il rapporto Draghi esprime preoccupazione per il divario dei prezzi dell’energia e ammette indirettamente che questo è in gran parte dovuto a politiche climatiche mal concepite, che hanno determinato una rapida transizione verso energie rinnovabili inconsistenti, chiudendo al contempo le centrali nucleari.
Ad esempio, gli ingenti sussidi concessi alle energie rinnovabili in Germania (oltre 30 miliardi di euro all’anno) hanno effettivamente aumentato la percentuale di energie rinnovabili nel mix elettrico. Tuttavia, hanno anche contribuito a mantenere i prezzi dell’elettricità tra i più alti d’Europa, incidendo così sulla competitività delle imprese tedesche.
Perpetuare l’illusione rinnovabile
Invece di invertire questa tendenza, Draghi sostiene il potenziamento delle politiche di promozione delle energie rinnovabili e l’accelerazione della loro diffusione sebbene dopo 45 anni ci troviamo ancora costretti a sovvenzionarle, direttamente o in modo occulto attraverso le bollette dei consumatori. Le direttive del 2009 e del 2018 sono state addirittura sostituite e rafforzate nel 2023 per imporre la loro antieconomicità.
In questo modo, il rapporto non tiene conto dei principi fondamentali della fisica e dell’economia dei sistemi energetici. Eolico e solare sono fonti energetiche intrinsecamente intermittenti e variabili – due termini vistosamente assenti dal rapporto – che gonfiano significativamente il costo dell’elettricità a causa della necessità di far funzionare il sistema elettrico in modo non ottimale.
Lungi dal fornire energia “sicura e poco costosa”, un sistema elettrico dominato dalle energie rinnovabili richiede costose infrastrutture per la produzione di riserva, lo stoccaggio e la trasmissione, che contribuiscono all’aumento dei costi del sistema.
Il rapporto cita il “forte potenziale di innovazione” dell’UE nelle tecnologie energetiche pulite come un vantaggio competitivo. Tuttavia, non tiene conto del fatto che la Cina domina già la produzione mondiale di pannelli solari, turbine eoliche e batterie e sta facendo rapidi progressi in settori in cui l’UE è ancora in vantaggio, come gli elettrolizzatori. Questo grazie anche al controllo della Cina sull’estrazione e la lavorazione di minerali come litio, cobalto, nichel, rame e terre rare. L’idea che l’UE possa superare la Cina nella corsa alle apparecchiature per le energie rinnovabili grazie ai sussidi governativi non è realistica.
Ancor più preoccupante è il fatto che il rapporto trascuri in gran parte l’enorme fabbisogno di minerali e le sfide della catena di approvvigionamento associate a una rapida transizione verso le energie rinnovabili e le batterie. Riconosce brevemente la forte dipendenza dell’UE dalle importazioni di materie prime critiche, ma non propone una strategia concreta per mitigare questa vulnerabilità, a parte vaghi suggerimenti di “diplomazia delle risorse”, come la promozione di investimenti in Paesi terzi insieme ad altri acquirenti “da Paesi strategicamente allineati”.
Trascurare l’energia nucleare
Sebbene il rapporto Draghi si riferisca all’energia nucleare come a una “fonte energetica pulita” al pari delle energie rinnovabili, non propone alcuna strategia seria per mantenere, e tanto meno sviluppare, la flotta nucleare europea. Le cinque volte che viene usata la parola “nucleare”, essa è sistematicamente associata e preceduta da “energie rinnovabili”.
L’errato ritiro dell’UE dall’energia nucleare ha svolto un ruolo importante negli alti prezzi dell’elettricità e nella dipendenza dal gas russo del continente. Una seria strategia di competitività cercherebbe di razionalizzare le normative e i finanziamenti per consentire la rapida costruzione di nuove centrali nucleari, compresi i reattori di progettazione avanzata, la IV generazione o gli SMR.
È sorprendente che Draghi, preoccupato per la ripresa economica, non dica una parola sull’unico produttore dell’UE rimasto sul proprio territorio, considerato il rinato entusiasmo mondiale per l’energia nucleare e la concorrenza di americani, russi, cinesi e coreani.
Il fatto che il rapporto Draghi trascuri l’energia nucleare è sintomatico del pregiudizio irrazionale di alcuni decisori europei nei confronti di questa tecnologia essenziale, e questo rapporto suggerisce che l’ex Presidente del Consiglio sia uno di loro. Sembra attribuire più importanza all’idrogeno (citato sei volte), probabilmente ignorando il fatto che il nucleare ad alta temperatura di IV generazione è l’unico modo per prevedere una produzione non metanifera di questa preziosa molecola chimica (per approfondire rimando al mio libro, The hydrogen illusion, KDP, 2022,).
L’elefante nella stanza: il petrolio ignorato
Con un consumo globale di petrolio che supera i 100 milioni di barili al giorno, il petrolio rimane indispensabile per i trasporti, l’industria e numerose altre attività economiche. Eppure, il termine “petrolio” viene citato solo una volta, come se questa risorsa, che costituisce ancora un terzo del consumo finale di energia sia nell’UE che nel mondo, fosse diventata insignificante.
La petrolchimica ne consuma il 14%. L’UE ha intenzione di abbandonare anche questo? Anche le turbine eoliche e i pannelli solari richiedono petrolio per la produzione e il trasporto. Tentare di costruire una strategia di competitività ignorando questa realtà fisica e geopolitica è come cercare di costruire una casa partendo dal tetto.
Questa svista è tutt’altro che banale. È lo specchio di una pericolosa tendenza delle istituzioni europee a confondere la politica energetica con quella dell’elettricità che rappresenta solo il 23% del consumo finale di energia dell’UE. Il petrolio resta strategico ed è sorprendente che in un rapporto sulla competitività lo si trascuri e altrettanto che non si tenga conto delle relative questioni geopolitiche.
Confondere la politica energetica con quella dell’elettricità
L’UE rimane fortemente dipendente dalle sue importazioni come da quelle delle altre fonti fossili. Nel 2022, l’UE ha importato il 96% del suo consumo di petrolio greggio, l’83% per il gas naturale e il 54% del carbone, per un totale del 57% della sua energia. Questa dipendenza comporta significative implicazioni geopolitiche che il rapporto Draghi sembra sottovalutare. La nostra competitività è direttamente legata alla nostra capacità di garantire queste forniture in un contesto internazionale sempre più volatile.
Draghi sembra seguire la Commissione che, non parlandone mai, fa credere che l’allontanamento dal petrolio rafforzerà la sicurezza energetica e l’autonomia strategica dell’UE. In realtà, si limiterebbe a spostare la dipendenza dai fornitori di petrolio e gas al controllo della Cina sulle catene di approvvigionamento di energia rinnovabile e sui minerali essenziali. La “vera politica economica estera” proposta dal rapporto per assicurarsi le materie prime non può sostituire il mantenimento di un mix energetico diversificato che includa la produzione nazionale di petrolio e gas.
BRICS? Mai sentito nominare!
L’enfasi posta dalla relazione sulla “riduzione della dipendenza” trascura il fatto che l’interdipendenza energetica ha storicamente favorito la cooperazione e la stabilità delle relazioni tra produttori e consumatori (Montesquieu e il commercio gentile).
Un approccio veramente strategico alla sicurezza energetica si sforzerebbe di mantenere una diversità di opzioni di approvvigionamento e di tecnologia – compresi gas e petrolio – piuttosto che mettere tutte le uova dell’UE nel paniere “verde” controllato dalla Cina.
Curioso e preoccupante al riguardo come Il rapporto ometta qualsiasi riferimento al gruppo di economie emergenti BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – che nel gennaio 2024 si è allargato a tre nazioni arabe (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto), alla Repubblica Islamica dell’Iran e all’Etiopia.
I BRICS possiedono il 40% delle riserve mondiali di petrolio, il 50% delle riserve mondiali di gas, il 40% delle riserve mondiali di carbone. Una strategia di competitività per l’UE dovrebbe considerare questo panorama geopolitico in evoluzione.
Insufficiente attenzione al gas naturale
Il gas naturale riceve un’attenzione leggermente maggiore rispetto al petrolio in questo rapporto, ma la sua importanza strategica merita una considerazione molto più sostanziale. Il 70% del gas viene utilizzato per scopi termici, non nelle centrali elettriche. Inoltre, il gas naturale è una materia prima fondamentale per l’industria chimica, compresa la produzione di idrogeno. Non sarà quindi l’energia elettrica, anche se nucleare, a sostituirlo per un periodo di tempo considerevole.
La scarsità di risorse nazionali di gas nell’UE, rispetto a concorrenti come gli Stati Uniti, contribuisce in modo significativo all’aumento dei costi energetici e alla diminuzione della competitività del nostro continente. Come nota giustamente Draghi, il suo prezzo elevato esercita un onere sostanziale sull’economia dell’UE.
Tuttavia, le indicazioni del rapporto sembrano inadeguate a garantire forniture di gas a prezzi accessibili. Sembra che il gas naturale sia visto solo come una fonte di energia transitoria da eliminare gradualmente, piuttosto che come una pietra miliare della nostra sicurezza energetica a lungo termine.
Le importazioni di GNL hanno raggiunto un livello record nel 2023, rappresentando il 40% delle importazioni totali di gas dell’UE. Eppure, il rapporto è carente su questo tema, ignorandone le attuali questioni geopolitiche.
L’UE ha bisogno di una strategia globale per espandere l’infrastruttura di importazione del GNL, garantire contratti di fornitura a lungo termine con partner affidabili come gli Stati Uniti ed eliminare gli ostacoli alla produzione interna di gas, compresa la fratturazione idraulica. Un giorno, quando sarà fattibile e opportuno, dovremo riprendere a importare gas da una nuova altra Russia, che detiene un quinto delle riserve mondiali di gas, proprio al confine dell’UE.
Senza forniture di gas naturale abbondanti e a prezzi accessibili, l’industria europea continuerà ad avere un notevole svantaggio competitivo. È urgente tornare al credo dei padri fondatori dell’UE nel 1955: il futuro dell’UE dipende da un’energia abbondante e accessibile.
Samuele Furfari è professore di geopolitica dell’energia, ESCP Business School. Il suo ultimo libero è Insicurezza energetica. La distruzione organizzata della competitività dell’UE
Potrebbero interessarti anche
La presentazione del nuovo numero di ENERGIA, di Alberto Clò, 16 Settembre 2024
La montagna e il topolino: Science sull’efficacia delle politiche climatiche, di Enzo Di Giulio, 11 Settembre 2024
La transizione energetica in un mondo materiale, di Redazione, 5 Luglio 2024
Petrolio: l’ingiustificato ottimismo della IEA, di Alberto Clò, 23 Giugno 2023
Foto: Pixabay
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login