5 Settembre 2024

Potenzialità dell’adattamento e i limiti del piano italiano (Pnacc) 

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A fronte degli scarsi o nulli risultati sul piano della mitigazione, l’adattamento dovrebbe essere proprio una rete di sicurezza in quanto riduce il rischio climatico, eppure presenta carenze tanto sul piano globale che nel Piano d’azione italiano (Pnacc). L’articolo di Enzo Di Giulio su ENERGIA 2.24.

Come noto, l’azione climatica si deve, dovrebbe, dispiegare lungo un duplice fronte: la mitigazione e l’adattamento. Nella pratica, grande attenzione e finanziamenti sono stati riversati negli ultimi 30 anni al primo fronte, lasciando il secondo in sordina. Diverse le ragioni per cui si è verificata questa divergenza, di carattere economico, per via dei maggiori interessi che ruotano attorno alle soluzioni di mitigazione, a quelli psicologici relativi all’adattamento, per “il timore che il solo parlarne” come  ebbe a scrivere Pippo Ranci su ENERGIA 3.22, “sia un segnale di resa, in contrasto con l’impegno a mitigare il cambiamento climatico”.

Quanto di più sbagliato, essendo le due azioni per il clima complementari e non alternative, da portare avanti parallelamente, seppur con differente intensità, che può e deve mutare nel corso del tempo a seconda dell’evoluzione degli eventi. Perché se è vero che all’inizio dell’azione per il clima, negli anni ’90, vi erano maggiori margini per mitigarne il cambiamento, con l’avvicinarsi alle date critiche indicate dalla scienza climatica – l’anno 2030, secondo lo Special Report IPCC del 2019 – e con la transizione ferma al palo – le fossili contano ancora per l’82% dei consumi totali, poco meno di 30 anni fa in termini percentuali ma molto di più in termini assoluti, e quindi di emissioni – quello dell’adattamento diventa sempre più un imperativo.

Un passaggio di consegne tra mitigation e adaptation che, secondo Enzo Di Giulio, potrebbe essere avvenuto con la COP 27 di Sharm el-Sheikh del 2022, irretito quasi interamente sul fondo loss and damage a riprova della consapevolezza che “i tagli (alle emissioni) latitano ma i danni ci sono e vanno controbilanciati”.

I due gap: mitigazione e adattamento

Ed è proprio alle economie vulnerabili e al problema dell’allocazione degli investimenti che ENERGIA 2.24 dedica un terzetto di contributi, dalle potenzialità che possono ancora offrire gli investimenti sul fronte mitigazione – con un articolo sull’Africa e il bisogno di una finanza climatica e uno sulle Just Energy Transition Partnership – alle necessità di quelli sul fronte adattamento, analizzati da Enzo Di Giulio, il cui articolo presentiamo in questo post.

L’adattamento sarebbe in grado di ridurre sensibilmente il rischio climatico se vi venissero dedicati gli investimenti necessari. A riprova, l’autore propone un noto grafico tratto da Unep (2023) e basato sull’Assessement Report 6 dell’Ipcc che illustra, qualitativamente, la relazione inversa tra emissioni e rischio entro la fine del secolo e il considerevole potenziale di riduzione del rischio derivante dall’adattamento.

adattamento Pnacc

“È come se vi fosse un mondo con e uno senza adattamento, laddove nel primo il rischio è circa la metà del secondo”. Eppure, “anche nell’ambito dell’adaptation, siamo di fronte a un deficit di azione simile, se non maggiore, a quello che caratterizza la mitigazione”.

Sono tra le 10 e le 18 volte inferiori a quelli stimati necessari gli investimenti sul fronte adattamento, che nel 2021 hanno raggiunto appena i 21 mld doll. Meno di quanto non fossero nel 2018, a loro volta meno del 10% quelli indirizzati alla mitigazione, come riportano Migliavacca e Di Giulio in un articolo del 2020 (Quanto è green la finanza mondiale).

adattamento Pnacc

Dal deficit economico a quello organizzativo

Dopo aver presentato i limiti dell’attuale azione per il clima (1. Adattamento e mitigazione: due gap), l’autore passa ad esaminare più nel dettaglio lo stato dell’adattamento a livello globale (2. Il contesto internazionale).

“Non solo il divario tra i fondi necessari e quelli disponibili sta aumentando, ma anche sul piano programmatico si evidenziano considerevoli criticità, con molti paesi che ancora non dispongono di piani di adattamento per tutelare il proprio territorio. Dunque, al deficit economico si aggiunge quello organizzativo”.

adattamento Pnacc

“Tre soli fenomeni, in pochissimi giorni, sono in grado di mandare in fumo più del 10% del reddito prodotto da un’economia evoluta come quella italiana, un paese di 60 milioni di abitanti”. È il commento che Di Giulio fa citando i 250 mld doll. di danni imputabili ai tre uragani che si sono verificati nel Centro America nel 2017.

“Vulnerabili” di fronte ai cambiamenti climatici non sono quindi solo i paesi del Sud del mondo, ma tutte le economie del globo, la nostra inclusa. Per questo, nel terzo paragrafo, l’autore prende in esame il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) rilasciato dal Mase lo scorso dicembre, che fa seguito alla la Strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici, che avevamo presentato in un articolo del 2022.

Pnacc, un piano che paradossalmente dice troppo e troppo poco sul da farsi

Sotto questo punto di vista, il Pnacc dovrebbe quindi svolgere un ruolo strategico di grande rilevanza per ridurre il rischio climatico grazie a interventi di adattamento. Di Giulio ne presenta la struttura e si sofferma su ciascuno dei punti:
(1) quadro giuridico di riferimento;
(2) quadro climatico nazionale;
(3) impatti dei cambiamenti climatici in Italia e vulnerabilità settoriali;
(4) misure e azioni del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc);
(5) finanziare l’adattamento ai cambiamenti climatici;
(6) governance dell’adattamento.

“Il Pnacc offre un quadro ampio e approfondito della questione dell’adattamento in Italia e cerca sinceramente di rispondere alla domanda operativa concernente il da farsi. La questione chiave concerne la misura in cui esso riesce nel suo intento”.

Questione cui da risposta nel paragrafo seguente (4. Riflessioni attorno a una domanda) nel quale evidenzia i limiti del piano A partire dall’approccio metodologico – l’ouverture del documento sono 8 pagine di riferimenti giuridici – ma soprattutto per l’eccesso di dettaglio – “la cifra monstre di 907 pagine (…) si riduce a una lista poco pratica di possibili opzioni operative”.

Un’occasione mancata

“Certo, si può dire che nonostante questi limiti il piano abbia un qualche ritorno, essendo un documento di indirizzo in grado di proporre una sorta di radiografia del territorio italiano e delle possibili ipotetiche linee d’azione da percorrere. L’esercizio non è del tutto sterile, lo ammettiamo, ma il contenuto di validità è assai distante da ciò che ci si aspetterebbe da un piano d’azione vero e proprio”.

Nelle conclusioni (par. 5), l’autore riporta la riflessione su un piano più elevato, quello globale dell’azione per il clima. “Ciò che emerge approfondendo la questione dell’adattamento, a livello tanto internazionale quanto nazionale, è l’eccessiva distanza tra ciò che andrebbe fatto con celerità e ciò che viene fatto. In altri termini, si ripropone nell’ambito dell’adattamento lo stesso limite, la medesima insufficienza operativa, che caratterizza la mitigazione”.


Il post presenta l’articolo di Enzo Di Giulio Potenzialità dell’adattamento climatico e i limiti del piano italiano pubblicato su ENERGIA 2.24 (pp. 64-72)
Enzo Di Giulio, Eni Corporate University e Comitato scientifico ENERGIA


Foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay

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