Un recente studio pubblicato su Science attesta la scarsa efficacia delle politiche climatiche nel limitare le emissioni. Il loro contribuito sarebbe infatti quantificato in appena l’1,3-3,9% del totale delle emissioni. Un dato a dir poco sconfortante che conferma quanto già pubblicato su ENERGIA.
Quanto funzionano le politiche climatiche? Molto, poco, per nulla? In che misura le emissioni di gas serra sono state abbattute dall’azione dei governi? Quali sono le azioni che funzionano di più, in quale settore e per quale tipo di paese? A tutte queste domande cercano di rispondere Annika Stechemesser e altri undici autori (che citeremo come Stechemesser et al.) con un interessante studio pubblicato su Science lo scorso 23 agosto sull’efficacia delle politiche climatiche
Se dovessimo giudicare in base al post che l’ambientalista scettico Bjorn Lomborg ha pubblicato su X il medesimo giorno della pubblicazione dell’articolo, dovremmo giungere alla conclusione che le politiche climatiche non contano nulla.
Tra l’1,3 e il 3,9%: le emissioni evitate grazie alle policy climatiche
Questo perché in un paio di decadi sono state in grado di limitare le emissioni – secondo i calcoli di Lomborg – solo in una misura compresa tra lo 0,08% e lo 0,23%.
In realtà, Lomborg confronta erroneamente la riduzione di CO2 annuale dovuta alle policy con le emissioni cumulate dei due decenni, giungendo così a un valore estremamente basso.
E tuttavia, se anche facessimo il confronto in modo corretto, confrontando i flussi annuali degli abbattimenti e delle emissioni, giungeremmo a una conclusione sconfortante: le politiche climatiche hanno ridotto le emissioni globali di CO2 in una misura compresa tra 0,6 e 1,8 mld ton, ovvero tra l’1,3 e il 3,9% del totale.
Indubbiamente molto poco, troppo poco, se si pensa ai trent’anni di negoziato sul clima, agli innumerevoli pacchetti di policy introdotti alle più diverse latitudini del mondo, ai miliardi di dollari di sussidi erogati a beneficio dell’economia verde, per non parlare del flusso debordante della retorica green.
In sintesi, la montagna ha partorito un topolino.
Non stiamo affatto portando le emissioni globali verso l’agognato livello net zero.
63 su 1.500: le policy risultate efficaci
Lo studio di Science mostra come tra il 1998 e il 2022 siano state implementate in 41 paesi del mondo 1.500 politiche climatiche, delle quali solo 63 hanno sortito qualche efficacia, comunque del tutto insufficiente. Già questo semplice dato fa riflettere molto perché evidenzia come solo una manciata delle centinaia di azioni introdotte dai governi, per la precisione il 4,2%, riesce ad avere un effetto positivo.
Siamo in presenza di una dispersione enorme il cui corrispettivo è uno sforzo organizzativo gigantesco nonché un esborso smisurato di denaro dissipato inutilmente. Purtroppo, lo studio di Stechemesser et al. non si sofferma sulla questione dei costi che rappresenta, per così dire, l’altra faccia della medaglia dell’inefficienza delle policy.
Sullo sfondo rimane il surplus dei 23 miliardi di tonnellate di CO2 da abbattere entro il 2030, anche qualora i paesi adottassero tutte le misure che hanno promesso nelle diverse conferenze sul clima. Se si pensa che nel 2023 le emissioni globali sono state circa 57 miliardi di tonnellate – di cui circa 37 derivanti dai consumi energetici – si comprende che siamo di fronte a un valore stratosferico.
Non solo un problema di ambizione, ma di inefficienza
Il poderoso studio di Stechemesser et al. ci dice che il problema non è solo questo – ovvero le ambizioni insufficienti dei paesi – ma anche quello derivante dall’inefficienza delle policy. In parole semplici, siamo di fronte a due gap: i paesi hanno ambizioni fiacche e non riescono a trasformare in realtà i tagli di emissione previsti sulla carta.
Ovvero, non vogliono fare ciò che dovrebbero fare, e quando lo fanno … lo fanno male.
Oltre al dato sui tagli effettivamente realizzati, lo studio è interessante perché ci dice quale tipo di politica funziona e quale no, in quale settore e in quale tipo di economia. In particolare, lo studio opera tre divisioni principali:
- tra paesi (Developed Economies e Developing Economies),
- tra settori (Building, Electricity, Industry, Transport),
- tra classi di policy (Regulation, Subsidy, Pricing).
Questa segmentazione della realtà consente agli autori, applicando una sofisticata metodologia basata sul machine learning, di pervenire ad alcune conclusioni fondamentali:
- le politiche basate sul “command and control” – ad esempio standard di emissione o obblighi tecnologici – hanno un’adozione più diffusa (270 casi) di quelle fondate sugli strumenti economici (116 casi). Il ricorso al mercato è più marcato nelle economie avanzate che in quelle in fase di sviluppo (88 casi contro 28).
- Nelle economie avanzate le politiche di pricing tendono ad avere una certa efficacia, alcune volte anche in congiunzione con i sussidi. Al contrario nelle economie in via di sviluppo, la regolazione risulta essere la politica più potente.
- La combinazione di un mix di policy è spesso più efficace dell’adozione della singola politica. Ciò è ben documentato dalle figure che seguono, che mostrano come la maggior parte dei risultati positivi si ottenga nelle aree in cui vi è sovrapposizione delle azioni (rappresentate come cerchi).
- Tuttavia, in alcuni casi singole politiche possono avere una certa efficacia. Ad esempio, nel settore industriale delle economie avanzate, le politiche di pricing hanno avuto un’efficacia ragguardevole. Analogamente, nel settore elettrico delle economie in via di sviluppo politiche basate sulla regolazione o sui sussidi hanno prodotto effetti positivi.
Per approfondimenti rimandiamo all’articolo originale nonché alla piattaforma di simulazione, user friendly, Climate Policy Observer, che consente di analizzare gratuitamente l’effetto delle diverse politiche per specifici paesi e settori.
Le politiche climatiche funzionano?
Al di là di tali considerazioni di dettaglio, rimane la questione di fondo della debolezza delle policy, posta da Stechemesser et al. e da noi stessi evidenziata su ENERGIA 3.23 circa un anno fa. A fronte della crescita del loro numero (vedi grafico), non si ravvisa purtroppo una diminuzione delle emissioni.
Gli autori dell’articolo giungono alla conclusione che se le politiche messe in atto da qui al 2030 avessero un grado di successo pari a quello medio delle azioni di successo approfondite nello studio, il surplus dei 23 miliardi di tonnellate di CO2 sarebbe ridotto nella misura del 26%. Nella migliore delle ipotesi, ovvero prendendo in considerazione le politiche che hanno avuto maggiore impatto nel passato, il gap sarebbe ridotto del 41%.
In entrambi i casi ci troveremmo di fronte a una distanza considerevole rispetto al sentiero che porta a net zero.
Qui, ovviamente, non discutiamo la complessa metodologia utilizzata dagli autori: lo studio è molto serio e rigoroso e assumiamo che i risultati a cui pervengono siano affidabili. Riteniamo che i suoi principali meriti siano due.
Il primo è quello di dare un fondamento scientifico all’analisi dell’azione dei policy maker e di evidenziare in modo rigoroso quanto già emerge dallo studio dei semplici dati relativi alle emissioni: le politiche non stanno funzionando. In moltissimi casi esse sono sterili, in pochi casi producono risultati positivi ma comunque largamente insufficienti.
Occorre capire dove sbagliamo, cosa funziona e cosa no. Lo studio di Stechemesser e dei suoi coautori in parte ce lo dice, ed è questo il suo secondo merito: offrire una valutazione estesa e accurata del funzionamento delle policy.
Di questa conoscenza dovrebbero fare tesoro – o comunque prenderla in considerazione – i policy maker a qualsiasi latitudine essi operino. Grazie ad essa si potrebbero evitare gli errori commessi nel passato, che hanno dato luogo a risultati nulli a fronte di sforzi ingenti.
Enzo Di Giulio è economista ambientale e membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
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