3 Settembre 2024

La Svizzera considera il ritorno all’energia nucleare

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Il governo della Svizzera sta considerando un possibile ritorno all’energia nucleare da attuare nel prossimo futuro. Un cambiamento di strategia che, al pari di altri paesi, dimostra l’interesse per il nucleare in Europa e che politicizza ulteriormente la questione energetica.

Pochi giorni dopo il drammatico sisma che segnò il Giappone nel marzo 2011 e quelli della centrale di Fukushima-Daichii, la pressione politica di partiti e attivisti portò a riconsiderare il ruolo del nucleare in tutta Europa, a partire dal suo cuore industriale in Germania. Soltanto due mesi dopo, il Consiglio Federale svizzero decise una svolta epocale nell’industria nucleare del paese. Un ritiro progressivo delle centrali e l’uscita dal nucleare al termine del ciclo di vita delle stesse, sancito da un referendum pubblico nel 2017.

Infrastrutture del settore nucleare in Svizzera
Fonte: ENSI

Oggi, a quasi 15 anni dagli eventi, la Svizzera conta ancora largamente sul nucleare per approvvigionare il proprio sistema energetico. Circa un quarto del fabbisogno energetico è ricoperto dal nucleare e oltre un terzo dei consumi elettrici sono corrisposti dai 4 reattori oggi in funzione. Nel 2019, dopo 47 anni di attività, soltanto il reattore di Muehleberg è stato infatti coinvolto nel processo di progressivo abbandono del nucleare svizzero.  

La geopolitica frena l’uscita della Svizzera dal nucleare?

Per comprendere cosa spinga oggi ad un ripensamento del nucleare in Svizzera, occorre ancora una volta rivolgere lo sguardo alla geopolitica dell’energia. A darne prova è lo stesso ministro all’energia Albert Rösti, membro di SWP o Unione Democratica di Centro (UDC), il maggiore partito nell’Assemblea Federale svizzera. Secondo il politico, nel lungo periodo “nuovi impianti nucleari sono una possibile via per rendere il nostro approvvigionamento più sicuro in tempi di incertezze geopolitiche.” La situazione internazionale è cambiata e lo scenario impone un ripensamento delle politiche attuali.

Per Rösti, il quale rappresenta un partito fortemente conservatore e dal profondo carattere nazionalista, l’obiettivo di UDC è sottomettere al Parlamento una proposta di modifica alla legislazione sul nucleare entro la fine dell’anno. Il dibattito parlamentare decisivo arriverà, secondo le speranze di Rösti, entro il 2025. Qualsiasi ritardo consisterebbe in un “tradimento” verso le future generazioni.

Addirittura, Rösti suggerisce che proprio a Muehleberg, la cittadina che ha ospitato la centrale chiusa nel 2019, la Svizzera potrebbe realizzare un nuovo impianto. I cittadini d’altronde “hanno convissuto con esso per decenni” e hanno potuto godere dei posti di lavoro da esso creato. Una dichiarazione che rappresenta una vera e propria sfida al risultato del voto popolare del 2017 e che lascia presagire una campagna politica che porterà all’ennesima politicizzazione delle strategie energetiche nel Vecchio continente.

Svizzera e Germania sono due paesi che, insieme a Francia e Italia, sono fortemente interconnessi e interdipendenti. Tanto che la Svizzera ha ripetutamente esportato volumi importanti di elettricità a Nord e Sud durante l’ultimo inverno. È lo stesso Rösti a ricordarlo alla stampa, rispondendo così alle critiche piccate che arrivano dal vicino Baden-Württemberg. Una regione tedesca il cui governo è fortemente avverso alla scelta di SWP/UDC di riproporre il nucleare nel mix energetico della Svizzera.

La politicizzazione della questione energetica

Neppure la Svizzera è infatti esente dall’ondata di forte protezionismo che sta attraversando l’Europa. Se la diversificazione dalle fonti russe è alla base della virata per distanziarsi dall’import di gas naturale, la Svizzera intende altresì smarcarsi da tutte le dipendenze industriali ed energetiche. Nell’autunno, il Parlamento ha sostenuto una misura per difendere gli interessi dell’industria dei metalli svizzera contro la competizione europea.

In parallelo, nel 2023 la discussione è virata sulla dipendenza dalle importazioni di pannelli cinesi. Un provvedimento che, secondo i promotori, è in linea con la Energy Strategy 2050. La legge che ha determinato il declino del nucleare in Svizzera nel 2017, ma che oggi è di nuovo al centro del dibattito.

Dopo la vittoria del voto di giugno e l’approvazione di una nuova “legge elettrica” che porterà a maggiore produzione da solare e idroelettrico entro il 2035, il Partito Verde rincara la dose e chiede oggi un “Green Deal per l’industria solare svizzera”. Ciò consisterebbe nell’installazione obbligatoria di pannelli fotovoltaici su ogni edificio di nuova realizzazione e in tutti quelli coinvolti in ristrutturazioni. L’iniziativa vorrebbe così assicurare un futuro prospero all’industria solare svizzera.

Le interdipendenze energetiche svizzere

Il caso vuole che, sempre secondo un report del governo, i produttori di pannelli svizzeri continuerebbero, inesorabilmente, ad esse dipendenti dalle Cina per via delle necessarie materie prime critiche nella supply chain del fotovoltaico. Un nuovo caso, insomma, di interdipendenza energetica nell’era della transizione.

A ciò va aggiunta una crescente opposizione da parte delle popolazioni rurali nei confronti dei grandi progetti solari ed eolici che dovrebbero essere dislocati nelle vallate svizzere. Una inattesa alleanza ha portato attivisti e ambientalisti ad allearsi con SWP/UDC per rigettare un grande progetto nel cantone di Valais lo scorso settembre.

Se i movimenti locali hanno puntato il dito contro il pericolo di degradamento paesaggistico, la politica nazionale ha rincarato la dose, giustificando il no come una misura di necessario protezionismo. Per SWP/UDC, “Il saccheggio delle nostre Alpi per il beneficio di avide compagnie straniere e i loro accoliti locali, non meno avidi, può essere soltanto un’impresa del male e andare a nostro detrimento.”

Come nel caso tedesco, la politicizzazione della questione energetica crea spazi ed opportunità di revisione delle strategie energetiche. La recente ondata di AfD in Turingia e Sassonia, anticipata a giugno in questo pezzo, ne è un esempio. Pur da punti di partenza assai differenti, il caso della Svizzera evidenzia, ancora una volta, l’importanza di studiare ed analizzare seriamente questi fenomeni che sono destinati a moltiplicarsi sul percorso della transizione energetica.


Francesco Sassi (PhD.) è research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche


Immagine di copertina creata attraverso l'Intelligenza Artificiale

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