L’incertezza avvolge il mondo dell’energia dallo schiacciante ritorno di Trump: dall’auto elettrica, alle fonti rinnovabili, dall’Accordo di Parigi alla leadership degli Stati Uniti nella transizione energetica
La schiacciante vittoria di Donald Trump e del trumpismo, che consegna ai Repubblicani anche il controllo di Senato e Camera, oltre che la Casa Bianca, apre una nuova fase nella politica americana.
Ne sarà coinvolta l’intera industria energetica nazionale, non senza riflessi internazionali, con uno spostamento a favore di quella petrolifera – col suo slogan “drill, baby drill” – e del gas (specie del Gnl), a detrimento delle tecnologie low-carbon.
La più importante decisione di Joe Biden, l’Inflation Reduction Act (Ira) – accusata da Trump di essere la causa dell’inflazione e definita “socialist green new scam” (una nuova truffa socialista verde) – potrebbe infatti restare applicata solo in parte, grazie al sostegno degli investitori in molti Stati Repubblicani e di una dozzina di rappresentanti Repubblicani nel Congresso, con investimenti attivati grazie all’Ira per un valore di 125 miliardi di dollari.
Non sarà così, invece, per quel che riguarda gli incentivi all’auto elettrica (nonostante Elon Musk) e le garanzie federali alle clean energy, reiterando quel che fece nel precedente mandato, quando cancellò un centinaio di provvedimenti adottati dal predecessore Barack Obama.
L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi avrebbe un enorme impatto politico sull’Unione europea
Ne soffrirà poi lo sviluppo delle tecnologie green e la cooperazione internazionale, come accadde nel precedente mandato, quando Trump ritirò il paese dall’Accordo di Parigi. Quel che intende rifare da subito, a dire del suo programma elettorale – “President Trump will once again exit the horrendously unfair Paris Climate Accords” – indebolendo la cooperazione internazionale nel momento in cui si va acuendo la tensione tra paesi emergenti e sviluppati sul loro ruolo nel sostenere, anche finanziariamente, le politiche climatiche dei primi.
Senza gli Stati Uniti, l’Unione europea rischia un grande isolamento nella diplomazia climatica e nell’azione per ridurre le proprie emissioni, per quanto limitate siano sul piano globale. Un nuovo ritiro da Parigi dimostrerebbe l’inaffidabilità degli Stati Uniti nelle intese internazionali, e come la continuità delle politiche nazionali sia condizione imprescindibile per ogni azione che si proietti nel lungo termine.
L’incertezza della politica, inoltre, è il principale deterrente ad investire degli operatori economici. E l’incertezza che getta il ritorno di Trump sull’energia e sul clima segnerà i prossimi quattro anni. Da negazionista convinto, il rinnovato presidente aveva sostenuto che gli effetti dei cambiamenti climatici – che definì “la grande bufala” – saranno “leggeri e lontani”, riaffermando la totalità delle priorità realizzate nella precedente presidenza.
Da allora, tuttavia, molte cose sono cambiate: la produzione americana di petrolio è aumentata dal 2016 ad oggi del 45%, passando da 9,0 a più di 13,0 milioni di barili al giorno, così da fare degli Stati Uniti il primo paese produttore al mondo.
Produzione che potrà ancora limitatamente crescere, se vi sarà adeguata domanda; la Cina è divenuta primo importatore di petrolio, volano della sua crescita; l’insieme di sanzioni a Russia, Venezuela, Iran ha messo fuori mercato più di 7,0 milioni di barili al giorno.
Il mercato è abbondante, con prezzi stabili nella forchetta 75-80 dollari al barile, ma le enormi tensioni geopolitiche nell’area mediorientale mettono a rischio questa stabilità e i prezzi del mercato internazionale condizionano direttamente quelli interni americani.
L’assalto di Trump alla transizione energetica potrebbe assumere grande rilievo per la cancellazione dei supporti politici alle rinnovabili, ma anche per il prevedibile blocco delle importazioni green cinesi – col ritorno alla bandiera “America First” – che renderanno le rinnovabili domestiche molto più costose.
Lo smantellamento della regolamentazione federale in materia climatica potrebbe essere controbilanciato dalle politiche adottate dai singoli Stati e dagli interessi del settore privato nel perseguire la transizione energetica. Ma questo solo in piccola parte.
Senza il supporto federale e internazionale, restano le politiche ambientali dei singoli Stati e le iniziative del settore privato
La conclusione del ritorno di Trump è quella di un profondo cambiamento nel futuro delle politiche energetiche mondiali, col venir meno di quella certezza su cui l’Agenzia di Parigi aveva costruito i suoi scenari energetici nel suo recente World Energy Outlook, avendo a mente anche che gli Stati Uniti sono il suo principale finanziatore e la dura opposizione mossa dal precedente Congresso alle tesi pro-clima dell’Agenzia.
Ne avremo riscontro alla conferenza climatica delle Nazioni Unite, la COP29, che si è aperta a Baku nel petrolifero Azerbaigian questa settimana.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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