25 Novembre 2024

Sulla riforma del mercato elettrico: dal ruolo di Ppa e CfD alla gestione del rischio tra pubblico e privato

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L’11 aprile 2024 il Parlamento europeo ha approvato la riforma del mercato elettrico. Cosa si è deciso e cosa non si è deciso? Ma soprattutto, con quali conseguenze? Le considerazioni di Carlo Stagnaro e GB Zorzoli, di Pippo Ranci e di Clara Poletti su ENERGIA 3.24.

copertina ENERGIA 3.24

L’11 aprile 2024 il Parlamento europeo ha approvato la riforma del mercato elettrico per tener conto delle profonde modifiche intervenute nella struttura degli impianti di generazione, con la progressiva penetrazione delle rinnovabili, e nella corrispondente struttura dei costi fissi/variabili che avevano portato alla scelta del prezzo marginale.

In un contesto, rimarca Alberto Clò nella presentazione del numero 3.24 di ENERGIA, di bassa e incerta crescita dei consumi di elettricità, con prezzi comunque di molto superiori a quelli delle altre maggiori aree, nonostante l’esaurirsi delle ragioni che li avevano fatti balzare in Europa e la forte penetrazione delle rinnovabili.

riforma del mercato elettrico

Una riforma “ecumenica”

Rispetto all’impostazione iniziale (di cui si è ampiamente discusso sui numeri 3.23 e 4.23) è stata approvata una riforma che Carlo Stagnaro e G.B. Zorzoli nel loro articolo sullo stesso numero di ENERGIA definiscono “ecumenica”, avendo accontentato le divergenti richieste degli Stati membri, che si dimostrano ancora una volta poco uniti.

Stagnaro e Zorzoli ricostruiscono il percorso che ha determinato la percepita necessità di una riforma del mercato elettrico e sulla base di questa analisi formulano il loro giudizio su tale riforma.

Dopo aver contestualizzato il passaggio dalle tecnologie con alti costi marginali a quelle con bassi costi marginali (par. 1), gli autori presentano l’evoluzione dei mercati elettrici (par. 2) e la riforma del mercato elettrico (par. 3) per poi raccogliere le proprie riflessioni nelle conclusioni (par. 4).

“All’epoca del decollo del mercato elettrico, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila (…) gran parte degli impianti era caratterizzata da costi variabili più o meno significativi (tranne l’idroelettrico e in parte il nucleare, che avevano costi marginali relativamente bassi) e da elevata programmabilità. (…) Esistevano le condizioni per affermare che l’applicazione del sistema del prezzo marginale garantiva l’equilibrio del sistema all’interno di mercati cosiddetti energy only, nei quali il principale prodotto scambiato era l’energia”.

Dopodiché “si verificarono però tre fenomeni destinati a cambiare completamente le coordinate dell’esistente”: la Grande Recessione del 2008-2009; l’imporsi della tematica del cambiamento climatico; la rapida riduzione dei costi delle principali tecnologie rinnovabili a partire dagli anni 2010.

Ppa e Cfd: nemici o alleati?

Vengono quindi presentate le due modalità contrattuali che sono emerse a fronte di questi cambiamenti: i Power purchase agreement (Ppa) e i contratti per differenza Cfd.

“Mentre i Ppa rappresentano un adattamento dei tradizionali contratti di compravendita alla specificità delle produzioni elettriche rinnovabili, la soluzione alternativa, i Cfd (contratti per differenza) a due vie, ha invece connotazioni spurie. (…) Razionalità e buon senso suggeriscono di evitare la contrapposizione tra Ppa e Cfd, che possono invece diventare complementari se i bandi per i secondi svolgono la funzione residuale di coprire l’eventuale quota di capacità non realizzata rispetto agli obiettivi previsti”.

La riforma, secondo gli autori, punta invece dritto sulla strada contrattazione a lungo termine tramite contratti per differenza (Cfd), adottabili anche per la produzione nucleare, e della centralizzazione de facto dell’approvvigionamento di energia rinnovabile. Un vero e proprio paradosso, se si considera che la caratteristica qualificante delle fonti rinnovabili è proprio la loro natura distribuita. Mette invece fuori gioco i Power purchase agreement (Ppa), conservando e rendendo strutturale il mercato della capacità, a cui potranno partecipare anche le centrali a carbone meno inquinanti.

L’incapacità dell’Ue e degli Stati membri – sostengono Stagnaro e Zorzoli – di “individuare una riforma che identificasse e valorizzasse le misure in grado di rendere concorrenziale un mercato dominato dal lungo termine, ha generato il topolino di una riforma dove a farla da padrona è la politique politicienne. Sicché, una riforma nata per dare una risposta di lungo termine a una crisi che derivava da tutt’altre ragioni strettamente legate a dinamiche di breve termine, rischia di creare confusione, contraddizioni e divergenze, oggi e domani, tra gli Stati membri e tra i relativi mercati. Con buona pace degli obiettivi dichiarati di sostenere la decarbonizzazione e perseguire l’integrazione dei mercati”.

Giusto che lo Stato si assuma i rischi del mercato elettrico come in ambito sanitario e previdenziale?

riforma del mercato elettrico

Il tema viene approfondito da Pippo Ranci, secondo cui è essenziale distinguere il ruolo degli operatori privati da quello della mano pubblica. Per due principali ragioni. Primo: risolvere la crescente incertezza indotta dai mutamenti tecnologici fissando regole certe di trasparenza e un’eventuale standardizzazione dei contratti, al fine di garantire stabilità al sistema e il funzionamento dei mercati organizzati. Secondo: assumersi una parte dei rischi per garantire alle imprese un positivo ritorno economico.

I Cfd a due vie e i Ppa sono strumenti pensati per ridurre i rischi nella compravendita di energia. Secondo Ranci, in un mercato ben sviluppato non spetta necessariamente a un ente pubblico assumere la restante parte del rischio, se non eventualmente per soggetti di piccole dimensioni.

Non è detto che sia necessario un intervento pubblico in quanto potrebbe essere sufficiente ricorrere a meccanismi assicurativi. In ogni caso, qualunque forma di intervento dovrebbe essere valutata sotto il profilo della sua efficienza e della minimizzazione del costo.

“Vorrei quindi evitare la diffusione di una scorciatoia logica che, in presenza di cambiamenti rapidi delle tecniche e dei mercati, e quindi di qualche ritardo nella nascita di strumenti idonei da parte privata, dia per scontato che solo un ente pubblico può farsi controparte dell’impresa di generazione elettrica intermittente o dell’investitore in settori a elevato consumo di energia, e definisca addirittura le nuove forme contrattuali come se fossero necessariamente stipulate tra un soggetto privato bisognoso di liberarsi di un rischio e un soggetto pubblico istituito per assumerselo”.

La riforma un ruolo fondamentale all’intervento pubblico o a meccanismi centralizzati gestiti nell’interesse pubblico

Nel suo contributo, Clara Poletti evidenzia invece come la riforma si sia focalizzata sulla necessità di dare maggiore stabilità e certezza sia agli investimenti sia ai prezzi, attraverso strumenti che hanno assegnato un ruolo preminente all’intervento pubblico. Più mercato ha portato a più Stato.

riforma del mercato elettrico

Nata in risposta alla crisi dei prezzi e attuata in tempi stretti e con obiettivi limitati, la riforma guarda al futuro e alla sicurezza del settore elettrico. Potrà, tuttavia, ancora subire cambiamenti e affinamenti in base al suo effettivo funzionamento.

“Tre sono, a mio avviso, le considerazioni che vanno tenute in conto nel valutare le cose fatte, e per comprendere quelle non fatte. La prima è che la Commissione, nel formulare la proposta, non ha affrontato in maniera ampia e approfondita le sfide che i mercati energetici e, più in generale, i sistemi dovranno presumibilmente affrontare nel lungo termine (…). l secondo elemento da non trascurare è che il cantiere di lavoro sul funzionamento ottimale dei mercati di breve termine e del tempo reale non è mai stato chiuso ed è importante che non lo sia. (…)

Infine, alcune considerazioni su ciò che la riforma non ha potuto o voluto affrontare.(…)  Molte di queste non riguardano direttamente il disegno del mercato elettrico, ma altri temi altrettanto rilevanti quali l’attribuzione dei costi delle infrastrutture di interesse transfrontaliero, in primis le connessioni degli impianti eolici offshore e l’efficienza nell’utilizzo delle reti”.

Necessario quindi che prosegua la riflessione sul funzionamento ottimale dei mercati di breve termine, essendo il dispacciamento e il bilanciamento le fondamenta su cui si poggiano gli altri mercati. Dando priorità, tuttavia, agli aspetti che richiedono un intervento urgente delle istituzioni europee, come l’integrazione dei sistemi elettrici nazionali.

“I nostri mercati – conclude Poletti – durante la crisi hanno dimostrato di aver resistito a tensioni e a pressioni nazionali per la chiusura delle frontiere. Indietro non si torna e stare dove siamo ora sarebbe molto costoso. Non resta che proseguire nel percorso di integrazione e miglioramento, con approccio pragmatico e costruttivo”.


Il post presenta gli articoli pubblicati su ENERGIA 3.24 Un errore prediligere i Cfd ai Ppa di Carlo Stagnaro e GB Zorzoli (pp. 76-81), La gestione del rischio, tra pubblico e privato di Pippo Ranci (pp. 82-83), Considerazioni sulla riforma di Clara Poletti (pp. 84-86).

Clara Poletti, esperta di regolazione energetica, Arera e Acer
Pippo Ranci, Comitato scientifico ENERGIA
Carlo Stagnaro, Istituto Bruno Leoni e Comitato scientifico ENERGIA
G.B. Zorzoli, Comitato scientifico ENERGIA


Foto: Unsplash

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