Torna il rischio gas per l’Europa. Sino al 19% delle importazioni potrebbe venire a mancare nei mesi più freddi dell’anno. Molto dipenderà da come Trump interverrà sulle tensioni geopolitiche. Una panoramica delle commodities dell’energia l’indomani delle elezioni statunitensi. Dal petrolio al gas, passando per il rame.
Per discutere lo scenario 2025, partiamo dall’eredità che ci sta lasciando questo 2024 ormai finito e quindi dall’esito, chiarissimo, delle elezioni politiche americane.
Sinora, i mercati hanno apprezzato questo risultato così schiacciante perché rimuove un grave elemento di incertezza, ma al contempo si aprono molteplici punti di domanda e nuove contraddizioni legate alle politiche che potrebbero essere implementate dall’Amministrazione “Trusk”, nuovo acronimo che nasce dalla fusione dei nomi Donald Trump, neoeletto Presidente, ed Elon Musk, primo finanziatore della campagna elettorale e uomo di spicco del nuovo governo.
Ad esempio, si stima che le preannunciate politiche fiscali avranno impatti positivi sulla crescita economica americana nel 2025. Tuttavia, la spinta inflattiva che esse genereranno complicherà notevolmente il compito della Federal Reserve, che potrebbe essere costretta a tagliare meno del previsto i tassi di interesse di riferimento. Aumenterà probabilmente il debito pubblico e si alimenteranno preoccupazioni relative alla sostenibilità del rapporto debito/Pil, potenzialmente indebolendo la credibilità delle istituzioni. Di conseguenza, l’impatto sulla crescita americana sarà probabilmente meno positivo dopo il 2025.
Commodities, si amplia la forbice tra i mercati americano e internazionali
Lato commodity, dovremmo assistere ad un ampliamento dei differenziali fra materie prime maggiormente orientate al mercato americano e quelle orientate ai mercati internazionali.
Nel mondo oil, dovremmo assistere ad un ampliamento dello spread fra petrolio Brent e Wti a favore del primo contratto poiché i rischi geopolitici sosterranno le quotazioni del benchmark internazionale, mentre un’adeguata produzione domestica dovrebbe favorire maggiori pressioni ribassiste sul benchmark statunitense.
Prevediamo infatti che il Brent possa mantenersi in un range di prezzo fra i 68 e gli 85 dollari al barile, attestandosi su un prezzo medio circa 78 dollari nel corso del 2025, mentre il Wti possa mediamente scambiare con uno sconto maggiore a quanto registrato nel 2024, più o meno ampio a seconda delle fasi di mercato. Al momento prevediamo un differenziale medio di circa 6 dollari fra i due contratti nel corso del prossimo anno.
Nel comparto metalli, dovremmo invece registrare un rialzo delle quotazioni dell’acciaio negli Stati Uniti a fronte di una persistente debolezza dei prezzi dell’acciaio in Europa e Cina, complici anche le nuove politiche protezionistiche.
Infatti, anche le politiche commerciali della nuova amministrazione potrebbero generare spinte inflazionistiche negli Stati Uniti, mentre dovrebbero alimentare pressioni al ribasso sul commercio mondiale e sulla crescita economica di importanti Paesi esportatori, rafforzando al contempo, almeno nei primi mesi, il dollaro americano a scapito delle valute dei principali partner commerciali.
Verso nuove guerre commerciali o nuovi negoziati?
Tuttavia, al momento non è ancora certo se la minaccia di incrementare le tariffe sarà un prodromo di nuove trade wars, in linea con quanto già visto sei anni fa, o se sarà lo spunto per avviare nuovi negoziati e perseguire più ampi obbiettivi strategici.
Ad esempio, obbligare l’Europa ad aumentare la spesa militare, o la Cina a ridurre le esportazioni da settori in overcapacity (acciaio in primis), o che beneficiano di eccessivi sussidi del governo e implementano pratiche di concorrenza sleale (si pensi ad esempio alle auto elettriche e ad alcune componentistiche chiave dei settori green).
Se prevalesse questa seconda accezione, più costruttiva, allora le politiche commerciali della prossima amministrazione potrebbero correggere alcune storture del commercio internazionale ed i rischi al ribasso sarebbero limitati anche per le commodity più correlate con la Cina, come ad esempio i metalli non-ferrosi.
In un simile contesto, vediamo il rame molto ben supportato in area 7.000-8.000 dollari alla tonnellata e riteniamo ancora probabili pressioni rialziste nella seconda metà dell’anno sino ad un prezzo medio di circa 9.900 dollari nel 4° trimestre 2025, considerando come benchmark il contratto future a tre mesi quotato sul LME.
Tensioni geopolitiche e mercato del gas
Infine, nuovi punti di domanda sono alimentati dalla politica estera. In campagna elettorale, Trump ha promesso di chiudere tutti i conflitti in corso. Purtroppo, nell’ultimo mese abbiamo al contrario assistito ad un’intensificazione delle tensioni geopolitiche sia in Medio Oriente, dove preoccupa un possibile più diretto coinvolgimento dell’Iran nel conflitto regionale, sia nella più vicina guerra fra Russia ed Ucraina. Quest’ultimo fronte è particolarmente critico per il mercato europeo del gas naturale.
Abbiamo registrato nell’ultimo mese notevoli incrementi nelle quotazioni del Ttf, benchmark per il gas naturale europeo, spinte ai massimi da oltre un anno da un duplice shock di domanda e offerta. Da un lato, temperature più rigide della media e scarsa generazione eolica hanno portato ad un incremento della domanda regionale di gas, e ad una corrispondente rapida erosione delle scorte, che hanno perso il vantaggio sulla media a cinque anni faticosamente accumulato negli ultimi trimestri.
Dall’altro lato, interruzioni impreviste delle esportazioni di Gnl da alcuni impianti di liquefazione australiani e revisioni al ribasso delle stime di crescita delle esportazioni mondiali di gas naturale liquefatto (Gnl) si sono aggiunte allo stop delle consegne di Gazprom alla utilities austriaca Omv (che, a seguito della vittoria di un arbitrato ha smesso di effettuare pagamenti mensili al fornitore russo come risarcimento per i danni risalenti alla crisi gas del 2022), a nuove tensioni fra Russia e Stati Uniti dopo due storiche a decisione dell’Amministrazione Biden.
La prima: permettere all’Ucraina di utilizzare missili a lungo raggio sul suolo russo, il che ha offerto al presidente russo Putin il pretesto di rivedere la dottrina nucleare e quindi autorizzare una risposta militare anche contro paesi fornitori di armamenti utilizzati per attaccare il territorio russo. La seconda: sanzionare GazpromBank, e quindi potenzialmente impedire i pagamenti per le spedizioni di gas russo consegnato ad Europa e Turchia.
Tale scenario geopolitico estremamente complicato rende molto probabile che al 31.12.2024 il contratto di transito fra Russia e Ucraina non sarà rinnovato e, se entro tale data non si riuscisse a siglare un accordo di swap fisico con l’Azerbaijan, vi è il rischio che venga meno circa il 5% delle forniture verso l’Europa che ancora dipendono dalle spedizioni via tubo di gas russo attraverso l’Ucraina.
A rischio sino al 19% delle forniture europee in inverno
In un simile contesto di significativi rischi al rialzo sulla domanda e al ribasso sull’offerta, il Ttf potrebbe mantenersi per gran parte del tempo oltre i 45 euro/MWh almeno sino a febbraio 2025. Successivamente, se a marzo gli stoccaggi non saranno scesi troppo al di sotto della media a cinque anni, riteniamo ragionevole che il Ttf possa tornare in un range di 28-40 euro/MWh nei trimestri centrali dell’anno. Al momento, prevediamo per il Ttf una media annua di circa 35 euro/MWh.
Esiste però un ventaglio di scenari ancora peggiori: se le nuove sanzioni contro GazpromBank fossero rigidamente implementate, a rischio sarebbe un ulteriore 6% delle forniture verso l’Europa che ancora dipendono dalle spedizioni via tubo di gas russo attraverso TurkStream; se anche le sanzioni americane contro i flussi di Gnl russo fossero rese più stringenti, sulla scia di quanto sta accadendo da agosto per il solo impianto di liquefazione Arctic LNG 2, un addizionale 8% circa delle forniture europee che dipendono dalle spedizioni di Gnl russo sarebbero a rischio.
Quindi, nella peggiore delle ipotesi, l’Europa potrebbe perdere sino al 19% delle proprie importazioni nei mesi più freddi dell’anno, quando il consumo stagionale è ai massimi. Infatti, ad indebolire ulteriormente la posizione europea contribuisce l’attesa di un inverno più rigido rispetto ai precedenti nell’emisfero boreale per lo sviluppo del fenomeno climatico di El Nino.
Sottolineiamo quindi che se si verificassero problemi significativi sulle forniture da Ucraina, TurkStream e sulle consegne di Gnl russo, gli stoccaggi europei potrebbero scendere entro fine marzo verso livelli critici di riempimento (fra il 20% e il 30%). Quindi, per raggiungere i target di riempimento di almeno il 90% prima dell’inverno 2025/26 la domanda estiva per iniezioni dovrebbe essere circa doppia rispetto ai volumi richiesti negli ultimi due anni. Questo sforzo implicherebbe prezzi decisamente elevati del Ttf anche in primavera ed estate.
Come accaduto più volte in passato, il generale inverno potrebbe presto rivelarsi un buon alleato della Russia, ed una minaccia per i leader europei.
Daniela Corsini è Senior Economist – Commodities, Direzione Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo
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