16 Maggio 2025

Gli investimenti nel petrolio riprenderanno nella misura necessaria?

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Nel 2021 la Iea ne negava la necessità, ora invece la rivendica, ma la vera questione è se con le incertezze dell’era Trump gli investimenti nel petrolio riprenderanno nella misura necessaria.

Non ha suscitato gran meraviglia l’inversione ad U dell’Agenzia di Parigi sulla necessità di investire negli idrocarburi – per soddisfare una domanda più resiliente di quanto si pensasse e rimpiazzare il declino naturale dei giacimenti – dopo che per molti anni aveva sostenuto esattamente il contrario, nel convincimento che essi fossero destinati ad uscire di scena con l’avvento delle risorse rinnovabili.

Gli investimenti nel petrolio

A sostenere l’opposto di ieri è stato come sempre l’immarcescibile direttore esecutivo Fatih Birol. Che la cosa, come detto, non abbia destato meraviglia colpisce, data l’autorevolezza delle analisi e raccomandazioni formulate dall’Agenzia, attraverso la sua bibbia annuale World Energy Outlook, mentre contribuisce ad avvallare le pesantissime critiche rivoltegli dal Congresso americano.

There is no need for investment in new fossil fuel supply in our net zero pathway – Iea, Net zero emissions to 2050 (2021)

In una durissima lettera inviata a Fatih Birol il 20 marzo 2024, i Presidenti delle commissioni energia della Camera e del Senato degli Stati Uniti hanno scritto: “in recent years the Iea has been undermining energy security by discouraging sufficient investments in energy supplies – specifically oil, natural gas, and coal. Moreover its energy modelling no longer provides policymakers with balanced assessment of energy and climate proposal”.

Ancor più severa la seconda lettera del 3 aprile 2024, ove si afferma che “The Iea’s new climate agenda and flawed projections may have contributed to the ongoing energy crisis by failing to provide participating governments with accurate and impartial data to make decisions”. Accusando, in sostanza, l’Agenzia di aver contribuito, con la sua avversione agli investimenti in petrolio e gas, a causare la crisi energetica esplosa ancor prima della guerra ucraina e di creare le premesse per future turbolenze.

Il ritorno di Trump ha ulteriormente acuito la distanza tra le posizioni dell’Agenzia e il suo principale finanziatore, grande sostenitore delle fossili e avversario delle rinnovabili. Mai sapremo se il ‘ravvedimento’ dell’Agenzia sia conseguente a mere ragioni politiche o al mutamento radicale delle sue analisi, così sconfessando quanto sin qua sostenuto.

Vale rammentare che le posizioni dell’Agenzia si basavano sull’errato convincimento che le tecnologie green avrebbero scalzato in breve tempo quelle fossili così che, anche in ragione dell’ostilità di molti governi e popolazioni, l’intera catena del valore del petrolio aveva subito una forte contrazione, con gli investimenti nell’esplorazione petrolifera che si erano contratti dei due-terzi in un decennio.

Gli investimenti nel petrolio

Gli investimenti riprenderanno nella misura necessaria

La questione centrale diviene ora se gli investimenti in petrolio e gas riprenderanno nella misura necessaria. Le imprese, specie quelle majors, si sono prontamente allineate al mutato e più favorevole vento, tagliando drasticamente le spese programmate nelle tecnologie green.

D’altro canto, il grande caos generato dall’amministrazione Trump ha creato un clima di incertezza tale da scoraggiare le spese di investimento che si proiettano in un lungo orizzonte temporale. La Barclays ha stimato che gli investimenti upstream in America potrebbero ridursi quest’anno sino al 15% e quelli mondiali del 5% se rimarranno gli attuali prezzi e dazi.

Sui dazi è impossibile prevedere alcunché dati i loro continui mutamenti anche verso la cruciale Cina. Quanto ai prezzi, l’aumento dell’offerta globale di petrolio, anche a seguito della richiesta in tal senso di Trump all’Arabia Saudita e sua accettazione e della decisione dell’Opec di accrescerla, non potrà infatti che causarne una riduzione.

Già da metà gennaio essi hanno lasciato sul terreno relativamente al Brent una ventina di dollari, verso i 60 dollari al barile di metà maggio, rendendo quindi meno competitiva la produzione interna americana di shale oil e gas, che va tra l’altro registrando un rialzo dei costi.

Gli investimenti nel petrolio

Due annotazioni finali.

La prima è che il clima di incertezza, alimentate anche dalle mille tensioni geopolitiche, non consente di aver contezza di quel che potrà accadere anche nel breve termine.

La seconda è, checché se ne dica, che il petrolio resta centrale alla dinamica delle economie sia sviluppate che emergenti. 


Alberto Clô è direttore di ENERGIA e RivistaEnergia.it



Foto: Unsplash